giovedì 9 giugno 2011

IL PICCOLO MICHAUX #2

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EDITORIALE

POPOLO, NON PUBBLICO

Proseguiamo il ragionamento sulla letteratura popolare iniziato nel numero precedente. Avevamo immaginato la possibilità di farla finita con lo stato di sudditanza a cui è relegata la nostra vita e pensato che, a tutti gli è effetti, è possibile possedere il proprio destino individuale partecipando a quello collettivo. Insomma, abbiamo intravisto come nessuna necessità ci impone di essere pubblico e non popolo. La questione è eminentemente letteraria: per essere popolo, ci vuole una letteratura popolare.
   È il caso ora di ragionare e immaginare insieme, prima di tutto, chi possa essere l’attore di questa letteratura, insomma che tipo di letterato e uomo possa incaricarsi della sua esecuzione. Va de sé che questo individuo non può coincidere con la figura professionale imposta dalla teologia romantica e borghese. Questa, infatti, si ritaglia sullo statuto dello scrittore, uno che scrive adempiendo alla mansione di addetto alla cultura; crea, stimola e impone gusti, opinioni, fedi, ideologie. Ragiona nell’ambito mentale di una rappresentazione della realtà in cui tutto ha una causa e un effetto che tende a un fine. È quintessenzialmente teleologico. Ha un fine, e questo lo rende un profeta e un predicatore: il suo scopo, non importa se espresso nella compilazione di un manuale per riparare motociclette o in un romanzo che superi il genere, è sempre quello di convertire. Per convertire bisogna pensare di avere un fine buono e utile. Il suo ragionamento è l’utile: il libro serve costantemente a qualcosa, dalla qualcosa ne conseguono fatti accessori, che accessori non sono per niente. Ammesso che il libro è, e deve essere, utile (secondo lo scrittore perché fa bene al suo pubblico), lo sarà anche sotto ogni altro riguardo: per esempio il libro è utile a fare soldi: per l’editore, per i librai, e poi per gli scrittori. Così lo scrittore si definisce pienamente come un impiegato in un trascendente ministero della cultura e la sua attività è una carriera, attraverso le case editrici, le conventicole, i premi per la conquista di una fetta di mercato: del pubblico. Le insegne della propria professione sono i rendiconti di vendita nelle operazioni chiarezza, le gare nevrotiche nelle classifiche agoniste, le statistiche aziendali sulle proprio quote in borsa. Il suo modello è un calvinista capitano di industria, e il suo fine ultimo è quello di imporsi sul pubblico. Con il tempo, tra l’altro, si è visto che, per l’ottenimento di questo scopo, è meno necessario porre al centro della propria impresa una questione letteraria che una campagna sul riciclo della carta o sulla difesa dell’immagine dei panda nel mondo. Lo scrittore, insomma, è un ammennicolo della politica nel senso più corrivo della parola.
    Siamo lontani, presumo, da quel luogo classico del Teeteto in cui Socrate constata che il filosofo si occupa più delle strutture che rendono possibile una convivenza civile tra gli uomini che delle brighe nelle fratie e nei partiti per ottenere il potere.
   In effetti, possiamo immaginare, almeno in maniera interinale, che il nostro narratore popolare somigli un po’ allo svagato Talete. Sia ben inteso, nessuno di noi può fisiologicamente fare a meno di possedere parti superficiali dell’essere quali le nostre convinzioni, le nostre opinioni, le nostre fedi religiose o ideologiche. Solo, possiamo ragionare che il narratore popolare dovrà farne a meno nel momento in cui narra per il suo popolo. Senza che debba necessariamente riunirsi con altri del mestiere per compilare opere collettive, il narratore popolare è collettivo in sé: esprime sentimenti collettivi essenziali, archetipici. Considera se stesso un mezzo, così come considera mezzi le parole e le immagini che adopera. Sa, magari per istinto, che nessuna opera, né letteraria, né artistica o musicale ha per fine un pubblico. Un’opera letteraria, al massimo, serve a se stessa. Sembrerà strano ma nessun essere viene al mondo per servire qualcuno: viviamo per esprimere il nostro essere. Certo, avviene che una vita degnamente vissuta sia di stimolo agli altri, nell’incontro fra esseri. Lo stesso si può dire di un’opera letteraria, il mistero del cui carattere, della cui natura, del cui essere si propone all’ascoltatore come stimolo alla propria intelligenza e immaginazione per il recupero delle strutture essenziali della realtà. Per il narratore se stesso, e la propria capacità di usare parole e immagini, sono il mezzo, appena un’indicazione, verso queste strutture. Il suo mestiere, immaginano Borges, Leopardi, la Morante o Vittorini tutta sprofonda nel mistero delle parole e delle metafore.
    Per chiudere questa indagine congetturale attorno al nostro attore, possiamo infine immaginarlo come un uomo trascendentale medio.
   L’epoca romantica nella quale viviamo, nella sua apoteosi monoteistica, non importa se declinata in chiave religiosa o laica, immagina la trascendenza come un eliminazione dell’umano a favore del divino, verticalmente; oppure, con modalità orizzontale, un riconoscimento dell’altro che è essenzialmente una riduzione a sé dell’altro: una dittatura dello standard in cui si dà voce a ogni opinione, quando ammissibile nell’ottica di una visione ideologica unitaria imposta con i vari tabù, dagli ideologici ai religiosi, fino ad arrivare alle metodiche del politicamente corretto. Nella prima declinazione vive ancora una visione estremistica (che fu cara, per esempio, a un Hitler) quale fu predicata dall’esicasmo. Da questa visione, che ancora impregna la nostra spiritualità, Ignazio da Loyola estrasse i suoi esercizi spirituali, volti a rendere orizzontale la trascendenza: a renderla uno strumento di controllo sociale (non a caso fondò, nei suoi esercizi, la tecnica cine-televisiva). Ed è Loyola a informare il nostro spirito laico.
   Al nostro uomo trascendente medio, invece, capita, se dovesse mai indagare dio o di occuparsi di tutte le opinioni degli uomini, di incontrare, come capitava ai padri del deserto, solo l’anima, qualunque cosa essa sia, seppure esiste, e ovunque si trovi.
   Ma è ora di chiudere il discorso, rimandando al prossimo numero una discussione su quali tipi di narrazione avremo bisogno per essere un popolo. E non un pubblico.
Pier Paolo Di Mino             
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 BIBLIOTECA ESSENZIALE
Jorge Luis Borges
Finzioni
Einaudi
p. 154
Euro 9.50


<< I miei occhi riconobbero le strade percorse come conosciute solo quando mi accorsi di essere morto, anzi quando presi coscienza di esserlo. Capitai nelle maglie del labirinto ormai adulto, quando, per conquistare quello che sarebbe stato il mio più grande amore terreno, la mia bocca citò in maniera errata le parole del maestro.  Sophia, che come è noto tutto conosce, mi ammonì. “Borges non ha mai detto ciò, ti consiglio di rileggerlo meglio”. Da allora fui perso nel dedalo. Pensai a un labirinto di labirinti, a un labirinto sinuoso e crescente che abbracciasse il passato e l’avvenire, e che implicasse in qualche modo anche gli astri >>
    Ecco cos’è ogni racconto del maestro, un labirinto costruito con l’idea di includere in sé tutto. Dove  il lettore si troverà smarrito in sentieri di citazioni, saperi e paradossi che si biforcano a ogni passo. Le parole più esatte, le geometrie perfette, l’assenza di aggettivi superflui ne determinano lo stile, il ritmo, la narrazione e la velocità.
   Tutti i racconti racchiudono le informazioni di intere vite, condensate e superavvolte su sé stesse come filamenti di DNA. Basterebbe srotolarle per trovarsi di fronte a interi universi, mondi immaginari e possibili, dai confini  non  verificabili. Universi che si sviluppano nel tempo piuttosto che nello spazio. Il maestro immagina una sorta di “Tempo puro senza nessun significato spaziale”, che è in grado di creare paralleli soggettivi (un’altra scuola di Tlön  afferma che mentre dormiamo qui, stiamo svegli dall’altra parte, e che dunque ogni uomo è due uomini ) dimensioni  che vanno oltre la terza. Attraverso le sue infinite potenzialità immaginative, egli modella in maniera del tutto personale il racconto, l’intreccio, la storia, il personaggio, il significato, il punto di vista e l’interpretazione, creando una configurazione unica tra serio e ludico. Quale sarà la citazione vera e quale quella inventata? Il lettore si troverà dentro una casa degli specchi, dove la realtà sarà deformata, in cui dovrà trovare l’uscita utilizzando come unici mezzi  la filosofia, la mitologia, la teologia, la letteratura e la storia. Ma tutti i possibili significati che possono essere appresi con l’aiuto delle discipline appena menzionate rimangono ipotesi, enigmi e congetture. Racconti fantastici, simbolisti, esoterici che affrontano il tempo, l’eternità, la morte, la personalità e il suo sdoppiamento, l’infinito, la memoria. Il mondo creato dall’immaginazione borgesiana è una struttura aleatoria che difficilmente può essere completamente svelata.
   Così Calvino,  nei capitoli su “velocità” e “molteplicità” delle Lezioni americane, si esprime sulla narrazione del maestro: “Una letteratura elevata al quadrato e nello stesso tempo una letteratura come estrazione della radice quadrata di se stessa; una “letteratura potenziale”.
    Ho fatto esperienza di come da certi labirinti non si possa uscire da vivi. Ecco solo ora capisco tutto questo, ora riconosco i sentieri che portano all’uscita, e quelli che terminano in un vicolo cieco, ora riesco a decifrare i simboli, e collego gli indizi di cui prima a malapena mi accorgevo.
   Solo ora.
   Ma ora non serve più a nulla, perché sono morto.


Gioacchino Lonobile




Curzio Malaparte
Coppi e Bartali
Adelphi Biblioteca Minima , Pag. 56 Euro 5,50


Il ciclismo è uno sport che non appartiene alle nuove generazioni (a ben vedere non appartiene neanche a tante precedenti), ma ci sono stati anni nei quali la bicicletta, che fa parte, secondo Curzio Malaparte, del patrimonio artistico nazionale, era tutto, e tutto simboleggiava. Anni, nei quali. il ciclismo è stato lo sport più popolare, e soprattutto nell’Italia del dopoguerra divenne il simbolo del riscatto di un paese, che con abnegazione e pedalando ce l’avrebbe poi comunque fatta. Ma lo sport, anche per chi lo vuole leggere solamente come una metafora della vita, è soprattutto un’epopea, con tutto quello che ne consegue; per prima cosa il conflitto. Non esiste narrazione senza conflitto, senza dualismo, e a dividere l’Italia, ad incarnare i cavalieri pronti a sfidarsi sotto il sole c’erano Coppi e Bartali, non solo sportivi, ma eroi contrapposti, eroi senza tempo paragonati da Dino Buzzati addirittura a Ettore e Achille. E Buzzati non fu l’unico prestigioso cantore di questo eterno dualismo, a narrare le gesta del pedale ci furono anche Alfonso Gatto, Vasco Pratolini, e ancora Nantas Salvataggio e Indro Montanelli. Ci vuole una buona penna per narrare i momenti di gloria, per farci credere che ogni discesa o salita diventi parabola dell’estremo. E poi, è un vezzo, soprattutto italiano, di riconoscersi solo specchiandosi in quello che non si è, necessitando di un altro per sentirsi Io, e nessuno, meglio dei due eroi della bici riuscirono nelle loro dicotomie a riunire un popolo intero. Nella nota finale che accompagna il saggio, Gianni Mura, si presta addirittura a scandagliare, in una tabella divisa in due, caratteristiche e significati dei due atleti, andando a semplificare non solo il pensiero di Malaparte, ma quello del sentire comune. E così, a un fedele, antico e classicista Bartali si contrappone, il moderno, progressista e cartesiano Coppi; Coppi il Robot, il miscredente a differenza del viscerale e pio campione toscano. Insomma, Coppi e Bartali, sono un patrimonio italiano, e come tale, le loro vite e avventure sono state spremute fino all’inverosimile. Uno imprescindibile dall’altro. Negli anni, tanti articoli, libri, film e fiction sui due sono quasi riusciti a insidiare la fama di Toto e Peppino; dunque c’è, forse, ormai poco da dire su di loro e se si deve, allora assolutamente si deve leggere questo breve saggio di Malaparte e per la maestria con la quale il toscano è riuscito a rileggere l’Italia che pedala : Senza dubbio la bicicletta nasconde qualche arcano significato. Che cosa c'è, infatti, di piú machiavellico? Ci chiediamo come possa stare in piedi ed ecco che lei prende il volo, in equilibrio su un invisibile filo d'acciaio, come un acrobata sulla fune. In silenzio trafigge lo spazio, in silenzio penetra nel tempo.. E poi chiedersi, a conferma di ogni sospetto, per quale delle due Italie Malaparte facesse il tifo; e come ovvio dalle prime righe non ne fa mistero, da “maledetto toscano” qual era, all’algido sportivo Coppi preferiva il compaesano Bartali. I due si toglievano appena cinque anni: Bartali del ‘14 campione di un mondo reduce e prossimo a scomparire, e Coppi del ’19, figlio della modernità, del nuovo mondo. Due mondi per due cantori diversi, già, perché il progressismo di Fausto Coppi, secondo Malaparte, l’avrebbe potuto narrare Hemingway, mentre le gesta di Bartali sarebbe stato meglio affidarle a Henry de Montherlant, che meglio di altri sapeva raccontare le gesta di uomini integerrimi, eroi di vecchi mondi. Ultimamente in un articolo sul Corriere della Sera, Matteo Collura pensando di tessere l’elogio dell’autore, scrive che Malaparte rientra in quel gruppo di scrittori che qualunque cosa scrivono, anche una Divina Commedia, restano giornalisti; a parte apprezzare la strenua ed encomiabile difesa della categoria da parte dell’estensore dell’articolo, e seppur convinto che certi “pezzi” sportivi che si possono trovare nei quotidiani non sfigurerebbero di fronte ad altri narrativi, ritengo che sia vero esattamente il contrario: Malaparte (come gli autori sopraccitati) rimane uno Scrittore, anche in questo piccolo saggio, meglio in questo piccolo omaggio. Ad arricchire questo piccolo volume, a chiosa di ogni capitolo, ci sono le divertenti illustrazioni di René Pellos e la nota di Gianni Mura che, rispondendo a Malaparte ci fa capire , neanche troppo sottilmente, che il suo “partito” è un altro, e ancora a raccontarci aneddoti sull’autore, come il fatto che Curzio amava pedalare nudo e che avesse in progetto una traversata in bicicletta negli Stati Uniti, da costa a costa. Aveva pensato proprio a tutto, pure di farsi sponsorizzare dalla Coca-Cola. Un’ altra Italia quella del 1946: circolavano tre milioni di biciclette e sole 149.000 auto. Oggi che le vendite dell’auto sono in continuo calo, potrebbe essere  un buon inizio per sperare in nuovi eroi. Supereroi.

Massimiliano Di Mino




Italo Calvino
Se una notte d’inverno un viaggiatore
Oscar Mondadori, Milano 1994,
pp. 305 Euro 7,40 

Se una notte d’inverno un viaggiatore è più romanzi nel romanzo, è una decostruzione del romanzo classico  e la costruzione del romanzo puro. Appellandomi al buon cuore del lettore chiedo venia per la perentorietà del primo periodo, ma esso è generato da un’impressione, o meglio da una sensazione che ho avuto non appena scoperto il gioco che stava alle spalle della narrazione. E devo pure ammettere di non sapere bene spiegare cosa intendo con romanzo puro. Ma forse, se il lettore oltre al buon cuore è provvisto anche di curiosità, posso esporre alcuni dei motivi che hanno generato in me tale percezione.
   Innanzitutto, il tema trattato: il romanzo, o meglio i romanzi, quindi un romanzo che parla di romanzi (non è il momento di preoccuparsi: non userò quella parola, almeno non ancora, dopo sarà inevitabile). Per quanto il tema non sia una novità assoluta, Calvino riesce a renderlo comunque originale, il suo piano d’azione non è quello tipicamente “letterario”, ma quello “romanzesco”, proprio della letteratura popolare. Egli fa ciò imponendo l’attenzione sull’intreccio, su cosa avverrà in seguito, e se in genere l’interruzione risulta traumatica, si pensi alla fine di una puntata di una serie, in questo romanzo viene istituzionalizzata e diventa motivo cardine dell’intreccio stesso.
   Secondariamente il testo letterario  raggiunge la purezza tramite l’autoriflessione, mettendo in dialogo tra loro i propri sé interiori,  una delle tante definizioni che posso essere dati alla metaletteratura (avevo annunciato che era inevitabile), di cui il romanzo fa sicuramente parte. I testi dei dieci libri riportati all'interno di "Se una notte..." contengono riferimenti tra di loro e alcuni personaggi, o almeno i loro nomi, appaiono in libri diversi, questa presenza di riferimenti tra i libri è la realizzazione pratica dell'idea che i libri tra di loro si parlino e che non possa esistere un libro avulso dall'universo degli altri libri, idea più volte ribadita da Borges.
    Speculare, riflettere: ogni attività del pensiero mi rimanda agli specchi. […] non so concentrarmi se non in presenza d’immagini riflesse, come se la mia anima avesse bisogno d’un modello da imitare .
    Si chiede ora al lettore un piccolo sforzo immaginativo: si pensino due specchi e un occhio umano. Gli specchi sono posti di fronte e si riflettono a vicenda infinite volte, ma l’occhio può osservare solo dieci immagini, ma potrebbero essere sette, tredici, settantasette ecc. Gli specchi riflettono le trame, i personaggi, le ambientazioni, i linguaggi che sono la materia che compone i dieci incipit dei romanzi diversi. Ma ciò che l’occhio vede non è solo questo, egli ha anche una visione d’insieme, oltre  ai singoli racconti ne vedrà uno in più: “Se una notte d’inverno un viaggiatore, fuori dall’abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l’ombra s’addensa in una rete di linee che s’allacciano, in una rete di linee che s’intersecano sul tappeto di foglie illuminato dalla luna intorno a una fossa vuota – Quale storia attende laggiù la fine?
   Una cornice ancor più universale del romanzo, rispetto a quella che già l’autore aveva inserito al suo interno.
   Ringrazio il lettore per bontà, curiosità, fantasia e pazienza e lo lascio alle parole di Calvino. “È  un romanzo sul piacere di leggere romanzi, protagonista è il Lettore, che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire. Ho dovuto scrivere l’inizio di dieci romanzi d’autori immaginari, tutti in qualche modo diversi da me e diversi tra loro”.


Gioacchino Lonobile

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SANTI , EROI E SCRITTORI

J. M. Bousseau. Scrittore, santo.
Del tipo fous litteraires, pazzi letterati, ossia autori che  enunciano teorie fantasiose, bizzarre, e scrivono testi eccentrici a carattere saggistico. Le loro elucubrazioni si allontanano da tutte quelle professate e accettate dalla società comune. André Blavier, critico e letterato belga, è autore di una enciclopedia su i pazzi letterati, in cui vengono citati più di mille libri su strambe teorie che riguardano i più disparati campi scientifici. Anche Raymond Queneau nel 1930 inizia un lavoro su di loro, fino a scrivere un manoscritto di settecento pagine “impubblicabile, né finito né incompiuto”, che in parte confluirà nel romanzo Les enfantes du limon.
   Uno di questi mattoidi è il professor Bousseau.
   Al fine di rallentare e accelerare a volontà il movimento giornaliero della terra, egli propone il seguente esperimento: cento milioni di uomini e oltre dieci milioni di animali domestici si metteranno in marcia verso Est; “si vedrà allora quanto l’astro del giorno apparirà in ritardo all’orizzonte, segno che la terra obbedisce alla benché minima forza”. A suo giudizio questa era una prova decisiva che avrebbe dimostrato per via sperimentale, come insegna Galileo con il metodo scientifico, e senza complicati calcoli matematici, la rotazione della terra o il suo contrario. 
 Il circolo del libero sapere informatico poco conosce su questo personaggio, e ciò non deve sembrare strano, infatti, un folle letterato per essere tale deve aver sì pubblicato, ma opere di scarso successo, e non deve avere né discepoli né seguaci.
   Le mie ricerche mi condussero comunque a due fonti. La prima che ha come titolo  Bibliographie de la France 1847. A pagina centosettantasei si trova che effettivamente Bousseau J.M in quell’anno ha pubblicato Point d’appuì d’Archimede trouvè. Niente di più d’un titolo. La seconda fonte, riporta ad una libreria di Imola specializzata in libri, testi e trattati antichi. Dal Catalogo n° 188:
       1. A Gaetanina Morelli fiore di giovane bolognese nel giorno che impalmavasi al degno concittadino Cesare avv. Germini. Plauso e auguri. Un sonetto di mos. G. Golfieri. Bologna, Mareggioni,  1876 in 4, 14 pp br. Euro 14,00
        2.Assoluzione d’Antonio e Ludovico Macchiavelli di scudi 70 residuo di scudi 160 prezzo di una casa sotto S. Tommaso del mercato. 9 settembre 1527 Manoscritto in 4, 2 pp (chiara calligrafia). Euro 18.
     3. (astronomia) Boisseau J.M. Point d’appui d’Archimede trouvè. Experience pour ralentier et accelerer a volunte le mouvement journalier de la terre. Verite du proces de Galilee. Paris, Ducessois, 1847, in 16, 10 pp. Firma autografata dell’autore, br. Euro 18,00. (FIRMA AUTOGRAFATA! 1847! 18 EURO!).
    In piena notte riempii la scheda d’ordine, non riuscendo a capacitarmi di tanta fortuna.
   Il giorno successivo appena sveglio rassicurarmi di non aver sognato fu il mio primo pensiero. L’ordine era confermato. Non contento recuperai il numero della libreria, per maggior sicurezza telefonai. Una voce femminile mi chiese il numero di catalogo e il nome dell’autore: 188,  Bousseau J.M.. Il silenzio che seguì era giusto presagio di una infruttuosa ricerca, forse tra polverosi scaffali, o più probabilmente tra freddi schermi. Il libercolo era stato già venduto. Non riuscii a dir nulla, nemmeno ricambiare l’augurio di buona giornata che mi era stato rivolto a conclusione della chiamata. Egregio signor L., purtroppo opera non disponibile, grazie, cordiali saluti: una mail confermava che anche questo non era stato un sogno.
   Bousseau, non avendo le possibilità economiche e gli agganci politici, non mise mai in atto il suo piano di rallentare il moto terrestre. Davvero poco briosa come chiusura, ma d'altronde molte volte è l’autosuggestione che rende un fatto conclusivo un finale.

P.S: sarei curioso di conoscere il possessore del libercolo: Point d’appui d’Archimede trouvè. Experience pour ralentier et accelerer a volunte le mouvement journalier de la terre. Verite du proces de Galilee. Paris, Ducessois, 1847, in 16, 10 pp.

Gioacchino Lonobile

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