venerdì 8 ottobre 2010

Recensione di Adriano Angelini sul Paradiso degli orchi

Pier Paolo e Massimiliano Di Mino

Fiume di Tenebra

Castelvecchi, Pag. 242 Euro 16,00


C'è un'altra pagina di storia italiana che non ci hanno raccontato bene. (Fra le tante che continuano a occultare, mistificare, inventare). E' quella di Fiume. La ricordate sui libercoli della scuoletta italiana scritti dai Villari di turno? Io no. Ricordo a malapena il nome di Gabriele D'Annunzio, il vate italico che nel settembre del 1919 coi Granatieri di Sardegna e un manipolo di 2.600 bellimbusti chiamati arditi era andato da qualche parte nell'Istria irredenta a ripigliarsi la città. Fortuna ci sono gli scrittori, quelli veri. Come Pierpaolo e Massimiliano Di Mino. Che ci raccontano cosa successe davvero in quell'anno di reggenza (la famosa Reggenza del Carnaro di cui il vate si autoproclamò capo). E ce lo raccontano con una scrittura incantevole. Lì dove il bello scrivere incontra le grandi trame, e la Storia con la maiuscola trova giustizia reinventandosi come storia con la minuscola.
C'è questo personaggio, Italo Serra, che molti conosceranno per via di qualche strada dedicatagli in varie città. E' un capitano che ha combattuto durante la Prima Guerra Mondiale credendo a tutte le sciocchezze che gli avevano raccontato i generali e i politici cialtroni di allora. Gli dicono: vai e uccidi il vate. E' diventato pericoloso. Lui va. Ubbidiente. Perplesso un po', stavolta. Da Roma a Fiume, solo andata. E quando entra nella città irredenta si rende conto del perché il vate è diventato pericoloso. Basterebbe leggere uno stralcio della Costituzione fiumana per capirlo: La Reggenza riconosce e conferma la sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, classe, religione. Ma amplia e innalza e sostiene sopra ogni altro diritto i diritti dei produttori; abolisce o riduce la centralità
soverchiante dei poteri costituiti; scompartisce le forze e gli officii; cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre vigorosa e più ricca la vita comune.
Orrore! Hanno gridato i primi ministri e i generali di allora da una capitale sempre più livida d'odio e di sconfitta. Dividi, dividi et impera, correre, sbaragliare, massacrare. Impaurire. Serra, tuttavia, in Fiume di Tenebra (questa straordinaria opera prima del duo Di Mino), rimarrà scioccato da ciò che troverà nella città fiumana, dall'atmosfera che i due scrittori riescono a riprodurre con una visionarietà felliniana (a tratti Giulietta degli Spiriti a tratti Otto e Mezzo) di quell'ambiente irrendento, e con un'alea di straniante mistero e giocosa follia. Lì dove il tenente Keller, il poeta e scrittore Giovanni Comisso e la bella Ada, anche loro cittadini di quell'esperimento, come tre angioletti lo prenderanno per mano e gli mostreranno le bellezze di un mondo libero e lontano da quello opprimente del fuori. E per lui, che si ritroverà davanti a soldati omosessuali, puttane, artisti improvvisati, saltimbanchi, lascivia e anarchia, suonerà la sveglia che a lungo l'aveva costretto all'ubbidienza cieca e servile. Tanto che a quel punto dovrà davvero decidere se infierire il colpo mortale al responsabile di cotanta smodata dissennatezza: il Vate. Ma qui mi fermo e non vi dico più niente. Perché il libro va letto e goduto appieno, con lascivia e poesia nell'animo. Come si conviene a un ardito, non so se del popolo o di se stesso.

Link alla pagina : http://www.paradisodegliorchi.com/cgi-bin/pagina.pl?Tipo=recensione&Chiave=900
Adriano Angelini
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