Quando Seneca, Petronio, San Paolo e altri amici
INVENTARONO IL CRISTIANESIMO
Mi ci sono imbattuto per puro caso.
Io, prima di questa piccola avventura, non avevo mai nemmeno sentito parlare
di Costantino Simonidis, che durante il corso del Diciannovesimo secolo è stato
un grande falsario di pergamene e papiri greci, e che, subito dopo l’incerta
data della sua morte, è finito nel dimenticatoio della storia.
(La data incerta sarebbe stata motivo di chissà quante storie apocrife
sul personaggio, ma la nostra storia, avida solo di cose certe e vere, ha
preferito rendere incerta fino all’oblio l’intera vita di questo uomo a causa
dell’incertezza del suo finale).
Il poco che so di Simonidis a tutt’oggi è che, quando un papiro o una
pergamena si dimostrano falsi (e aggiungo con malignità: nonché quando li si
vuole dimostrare falsi), si tira fuori il suo nome.
È quanto fa tale padre Irenée Hausherr nell’opuscolo senza data e senza
editore “Les mensonges du Ennemi”.
Dirò ora di come avvenne il ritrovamento
fortuito di questo opuscolo.
La cosa è facile. Il teatro è la Biblioteca di Storia Moderna di Roma.
L’attore io, intento ad alcune ricerche (non importa ora dire quali) che mi
portano a rovistare fra alcuni faldoni trascurati dall’inventario della
biblioteca, complice la felice assenza di qualsiasi custode.
Insomma, ora di pranzo, gli impiegati che disertano allegramente
l’ufficio, io che mi ritrovo solo con questo faldone non catalogato con tre
riviste sull’Agro Pontino illustrate da Cambellotti, due giornalini della
parrocchia di San Michele Arcangelo a Sermoneta, e questi pochi fogli
ingialliti e consunti sopra i quali erano stampati in francese le angosciate
invettive di tale padre Hausherr.
Il resto? Io che colpevolmente rubo l’opuscolo, piegandolo in quattro e
infilandomelo in una tasca.
Sia chiaro, non mi piace rubare, se non
è necessario. E quel furto non lo era.
Leggendo distrattamente le prime righe di quelle pagine avevo solo trovato
il piacere di leggere un francese esasperato: quel francese così tanto francese
che hanno taluni, cartesiano al parossismo: una lingua perfetta per la Salpêtrière, insomma.
E, dunque, nelle poche righe lette da quell’opuscolo avevo scorto i
segni certi dell’idiozia grandiloquente, il che di solito mi avrebbe
scoraggiato a proseguire nella lettura e non certo incoraggiato a fare un
furto. E invece.
E invece torno a casa e leggo queste
parole infuocate scritte da un uomo che soffre di non so cosa, e scopro che a
una certa data (la quale, tirando in ballo Simonidis, si colloca nel tardo
Ottocento) circolò la notizia del ritrovamento di un papiro.
Il papiro era un carteggio. Autori del carteggio erano Seneca, tale
Calpurnio Pisone, Petronio, Nerone e San Paolo. Niente di meno.
“Il carteggio”, scrive l’estensore dell’opuscolo,
“ha un unico argomento: l’invenzione del cristianesimo. Sì, insomma, i quattro
uomini discutevano e si passavano informazioni, notizie e consigli per
inventare con evidenti scopi satanici la figura di un profeta chiamato Cristo.
La figura sarebbe stata inventata fondendo diversi miti greci e orientali,
mescolando diverse dottrine filosofiche e religiose”.
Così esordisce questo padre Hausherr, autore dell’opuscolo, per poi
proseguire lungo quattro fitte pagine a dimostrare in tutti i modi la falsità
di questo ritrovamento.
Prima di tutto è chiaro che la pergamena è falsa, dice padre Hausherr,
perché vi si dice che il cristianesimo sarebbe stato fondato per motivi
satanici, e invece il cristianesimo, come dimostra la sua teologia, è
antisatanico. Seconda cosa, dire che Gesù non è esistito non è possibile,
essendo già stato più volte dimostrato che è esistito. Piuttosto, afferma Hausherr,
è dubbia l’esistenza di Petronio, sconosciuto questo tale Calpurnio Pisone, e
in passato ci sono stati dubbi perfino su Seneca (dubbi che potrebbero anche
essere validi), per non parlare di Nerone il quale è descritto come un mostro,
e i mostri non esistono, e, considerando questo, è il minimo dire che il Nerone
dei libri di storia non è il vero Nerone, e quindi Nerone è falso (sic):
insomma, salvo il buon apostolo Paolo, l’unica persona certamente vera di
questa storia è quella accusata di essere falsa: e cioè Gesù.
Dopo questa breve dimostrazione, padre Hausherr riempie, e per più di
una pagina, Satana di gravi insulti, peritandosi di fare una breve storia dei
sui addetti, partendo dai baccanali fino ad arrivare alle attività del Ponte
d’Oro, una setta che, secondo il buon sacerdote, è stata il committente della
falsa pergamena. In preda all’orrore, giunto a questo punto, Hausherr fa
partire la denuncia: questo mondo è oggi segretamente guidato da un gran numero
di sette devote al maligno, e fra queste la più potente è il Ponte d’Oro. Scopo
principale di questa setta è quella di distruggere la Santa Religione. A motivo
di ciò, infatti, detta setta satanica avrebbe ordinato a uno dei suoi adepti,
Simonidis, noto falsario, di costruire questa testimonianza di malizia e depravazione.
Siamo quasi al finale quando, poi, il buon padre Hausherr scaglia diversi
anatemi e sul falsario e sulla setta e, in maniera un po’ brusca e non del
tutto pertinente, su Carlo Marx, per concludere quindi con dei ringraziamenti a
certi uomini di buona volontà che hanno deciso di reagire a tutto questo
fondando una associazione pia e benefica che raccoglie gli sforzi dei più
grandi intellettuali e industriali e finanzieri della cristianità per
combattere il male, come anche hanno dimostrato nel “presente caso di questa
falsa pergamena che è una vera bestemmia. (cosa intendeva? Cosa hanno fatto?)
Tutti uomini zelanti e attivi, benedetti dal Signore e vivi nel Giuramento
fatto a Redinchem” (?)
Ora, non è che non ho fatto ricerche. Ho cercato di capire cosa fosse questa setta del Ponte d’Oro: niente.
Chi fossero gli zelanti che hanno giurato a Redinchem, che poi sarebbe
l’attuale Oosterbeek: ma ad Oosterbeek anche, a parte le sue millenarie
vestigia, la sua torre e lo squisito albero di Bildemberg, non ho trovato il
minimo segno di congiure contro il male. Ho fatto ricerche su questo padre Hausherr,
ma, a parte il fatto che si chiamava come l’autore che trent’anni circa dopo
avrebbe pubblicato per il Pontificio Istituto di Studi Orientali di Roma “La méthode
d’oraison hésychaste”, niente. Uno sconosciuto totale. Uno sconosciuto tale da
pensare che questo opuscolo sia un falso.
Cosa del resto facile da pensarsi perché altre notizie su questa
presunta falsa pergamena costruita da Simonidis non ce ne sono. Nessuna notizia
su questa pergamena, né rovistando nella storia dei ritrovamenti importanti
(nel caso sarebbe un ritrovamento piuttosto importante) né fra le vicissitudini
di Simonidis. Del resto perché mai questo prete avrebbe dovuto scrivere un falso
su un falso? A queste domande non so dare risposte. Cosa rimane, dunque? Rimane
a me cercare di ricostruire con mie false supposizioni questa storia che, in
qualsiasi modo la metti, è la storia di un falso. È quello che faccio ora qui
di seguito:
Il carteggio fra Seneca e San Paolo, Petronio e
Calpurnio e Nerone.
Seneca scrive a Petronio.
Ti saluto e auguro ogni bene, Petronio,
sebbene non abbia bisogno di altro bene chi, assolti i propri compiti nella
gestione delle cose pubbliche, usi il tempo del proprio ozio per dedicarsi alla
più alta delle attività umane, la poesia. E tanto più è ricco di quel bene chi,
come te, opera per il meglio di tutti sia nella vita pubblica che in quella
privata, facendo del tuo lavoro politico un’opera di poesia e della tua poesia
un lavoro politico. Sì, Petronio, in te si sommano le virtù del romano antico, onesto
e severo, e del pio stoico. Ma forse ti chiedi perché io usi queste lodi al tuo
riguardo. Ti rispondo dicendo che una buona notizia corre non meno veloce che
una cattiva, anzi. E ne sappiamo noi qualcosa di come si diffonde una buona
novella, vero? Ma ora parlerò chiaro: vengo a sapere da poco che stai scrivendo
una grande opera che mescola versi e prosa, e che è scritta in quella lingua di
popolo che insieme abbiamo sognato. La lingua a venire di un popolo a venire.
Bene. La notizia mi lascia così commosso e così curioso che ho dovuto vincere
la tua timidezza nel farmi partecipe dei tuoi sforzi letterari con un piccolo
crimine. Ho fatto trascrivere da uno schiavo alle tue dipendenze (non ti dirò
chi) una piccola parte del tuo componimento e così mi sono visto recapitare la
scena in cui quel tuo Trimalcione invita tutti alla sua ultima cena. Che
ridere! Ma anche quale intensa trepidazione filosofica e politica offre alla
mente la tua satira! Mi complimento con te. Mi complimento per la perfezione e
l’arditezza del tuo dettato poetico. Mi complimento per la drammaturgia della
scena e la vividezza dei personaggi. Mi complimento per la puntuale critica che
ogni singola parola contiene ai mali di questo mondo. Eppure mi chiedo se era
opportuno e necessario fare quello che hai fatto. Non bastava alla tua arte
aver già partorito una volta un’ultima cena? Bisognava proprio fare di queste
tue ultime cene un marchio di fabbrica riconoscibile, che chiunque può
riportare al genio di un grande poeta? E che chiunque, dunque, può riconoscere
come invenzioni poetiche, anche se non si vorrebbe?
Petronio a Seneca.
Ti saluto, saggio fra gli uomini più
saggi, e non spreco tempo ad augurarti un bene di cui la tua persona dispone in
tale misura da emanarne l’eccesso a beneficio di chi ti stia anche
semplicemente accanto. Tu sai che non esagero o faccio i miei soliti scherzi
amari adoperando queste parole nei tuoi confronti. Ti reputo un maestro, e ti
reputerei il mio, se mai un uomo come me può avere un maestro. Quando ho acconsentito
che lo schiavo pagato da te per questo innocente crimine, copiasse parte del
mio lavoro, ho voluto che proprio quella scena tu leggessi per apprezzare
questa finezza: un giorno qualcuno dirà che la buona novella era tanto famosa
da essere parodiata nei libri. A nessuno
di certo potrà mai venire in mente che la scena triste e pietosa dell’ultima
cena di un dio orientale e la cena grassa e comica di un porco occidentale sono
frutto dello stesso autore. Non temere, e apprezza invece quanto ho concepito.
Se anche questa nostra creatura non avesse successo; se anche scomparissero
tutti i vangeli fatti redigere, un segno dell’esistenza di Gesù detto il Cristo
rimarrebbe nella memoria delle cose umane grazie al mio libro di satire. Pensi
che sbaglio?
Seneca a Calpurnio Pisone.
Fedele amico, Calpurnio, anche tu hai
potuto consultare la lettera di Petronio e il suo componimento, e forse
penserai con lui che non sbaglia. Eppure io temo. Io temo la vanità del poeta.
Ha voluto mettere la sua firma sulla creazione dell’ultima cena di Gesù detto
il Cristo. Non importa, anzi il contrario, quante notizie circolino su questo
Gesù, e a nome di chi. Dal giorno in cui, come fanciulli che fanno un dispetto,
abbiamo copiato le astruserie ebraiche e le abbiamo mescolate coi segreti di
Platone e dei pitagorici e della scuola stoica, divertendoci a farle dire a una
figura letteraria che abbiamo fatto camminare sulla remota e misteriosa carta
geografica della Palestina, un secolo prima di noi, sono passati ormai quasi dieci
anni. E, in questi dieci anni, il nostro divertimento letterario è cresciuto
fino a diventare più grande di noi. Conto ormai, provenienti da tutte le
province di Roma, un gran numero di vangeli, scritti da chissà chi, ognuno dei
quali modifica e amplia la nostra creazione. La nostra creatura è ormai pronta
ad essere vera per tutti. Quello che abbiamo inventato noi per nostro arbitrio
dieci anni fa, per tutti è stato arbitrio di Dio farlo essere davvero cento
anni fa. Sappiamo tutti, quindi, che questo non è più un gioco. Per questo temo
la vanità di un poeta, per il quale tutto è sempre un gioco.
Calpurnio Pisone a Seneca.
Ti saluto, Seneca. Io temo con te, ma
ben altro. Ti dirò chiaramente che Petronio non mi preoccupa. È un poeta, sì,
ma è un poeta che usa la poesia per nobili ideali. Si dà modi disinibiti e fa
mostra di essere indifferente a tutto. Fa questo per celare la purezza del suo
animo. Conosco per intero il suo libro. È un capolavoro insuperabile.
Basterebbe una sola generazione di uomini formati alla lettura della sua opera
per cambiare per sempre il mondo. Ma tu sai che non vanno così le cose, e che
Petronio, come tutti gli uomini troppo nobili, farà una brutta fine, e che il
suo capolavoro verrà bruciato e dimenticato. Piango nel pensare queste cose, ma
è così che vanno le cose per chi non sa operare con cautela e opportunità. Come
abbiamo fatto sempre noi. Sei tu che me lo insegni: candidi come colombe,
prudenti come serpenti. Non temo Petronio, così come non temo che qualcuno
possa arrivare a pensare che Gesù Cristo e tutta la sua dottrina siano
inventati non si sa a quale fine da chissà chi. Quando tutti credono vera una
cosa, il dubbio di uno rinforza in tutti quella verità. Quello che temo,
invece, è altro. I miei dubbi, fedele amico, si concentrano su chi debba e come
debba usare questa verità.
Dici bene che è passato del tempo e che
la nostra opera è diventata più grande di noi. Eravamo ragazzi quando abbiamo
scoperto i segreti che governano questo mondo nella sua più misteriosa struttura,
e attraverso gli insegnamenti degli antichi e la pratica sacra e viva dei santi
veleni, abbiamo scoperto noi di nuovo come tutti quelli che prima di noi si
sono messi sulla via della tradizione, quello che c’è da sapere sulla
composizione e sulla natura bugiarda del tutto. Ci sembrò allora, ancora
giovani come eravamo, giusto ribellarci alle leggi false e illusorie che ci
erano imposte e che ci obbligavano a servire come schiavi limiti che non
esistono. Volevamo rivoltare il mondo. Volevamo rivoltarlo politicamente, e
nella coscienza degli uomini. La nostra opera poetica, inventare un filosofo
che fosse non solo un uomo ma anche un dio che viene a salvare l’uomo
inneggiando alla rivolta totale, all’abbattimento dell’autorità imperiale,
della proprietà privata e di ogni altra legge conosciuta, ci sembrò esattamente
quello che dovevamo fare. Ma questa opera è cresciuta, e siamo cresciuti noi.
La nostra stessa opera ci ha indicato la via della nostra maturazione: non
basta dire che gli uomini vedono come attraverso uno specchio oscuro, e che
tutta l’esistenza è solo una chimera, e che quindi dobbiamo abbattere tutto
questo. Bisogna anche aggiungere che, abbattuta una cosa, ne va costruita una
migliore in sostituzione. La nostra buona novella in questi anni si è
moltiplicati in tanti scritti, in ognuno dei quali sono suggerite discipline e
visioni divine e prospettive politiche differenti. Questo vuole da noi il
mondo: una nuova visione, e una nuova legge che da questa visione discenda e
che sia adatta a governare il mondo. Cristo ci servirà a distruggere l’impero e
a costruire una nuova Roma. Cristo è di noi romani.
Lo ribadisco: di noi romani. Ed è per
questo che, se temo, io temo quel tuo mezzo ebreo, Saul, che anche se si fa
chiamare Paolo, sempre ebreo rimane, e come tutti gli ebrei è un esaltato e un
sedizioso che odia Roma. Non sai cosa compie, forse, alle porte di Roma, a
Tessalonica, ad Atene a Corinto? Forma gruppi sempre più numerosi, a cui
insegna che la realtà è finta, e che bisogna ribellarsi. Fa digiunare i suoi
discepoli, li obbliga alla veglia, li costringe all’astinenza sessuale, li fa
camminare sui fuochi ardenti a piedi nudi, mangiare vetro, e nutrirsi del
veleno delle aspidi: forma eserciti indistruttibili alle sue dipendenze. Ha i
suoi mezzi. Sai chi è Paolo, il Tintore, e quanto e come sia esperto nelle arti
magiche. Ha fatto parte di tutte le sette di esaltati dell’oriente e
dell’occidente. È stato sui libri paga della nostra polizia e di quella del suo
paese di origine e di chissà quante altre potenze. Quello che lo ha reso
prezioso a noi, la sua abilità come truffatore, le sue conoscenze nelle sette
segrete, e finanche le sue capacità oratorie e inventive, lo possono rendere
utile a chiunque altro. Penso, forse, che potrebbe vendere la nostra creazione
a chiunque altro? Sì. E penso anche di peggio. Penso che potrebbe usarla a suo
solo tornaconto. Vigila bene, Seneca.
Seneca a Paolo.
Paolo, fratello mio, ti scrivo
preoccupato. Paolo, tu sei mio fratello. I vincoli sacri contratti in gioventù,
la segreta aspirazione a cui essi ci hanno condotto, ci rendono l’uno vivo solo
per l’altro. Ricordo ancora il viaggio che facemmo insieme nella città dell’al
di là, in parte ancora rinchiusi nei nostri corpi separati, parti uniti nel
nostro vero corpo sottile. Chi ha conosciuto quella unione non può più
separarsi. Se temo per la tua vita è dunque temendo anche per la mia. Tutto va
a rotoli. Petronio si ribella. Dirà tutto. Dirà che ha inventato lui la figura
di Cristo e scritto il vangelo intitolato a Marco. Sta facendo circolare,
inoltre, un vangelo intitolato a Tommaso per denunciare tutte le tue fonti e
screditarti come mistificatore di esse.
E non mi preoccupa solo lui. Il nostro
più grande problema è Calpurnio. Sì, il Calpurnio nostro dolce amico. Quel
Calpurnio che ci salvò la vita quando decidemmo di lasciarla come ignobile per
raggiungere prima la vera vita, e ci consigliò di rimanere ancora un po’ su
questo piano di realtà per compiere una missione. Una missione che ora
tradisce. Ci odia ora, e non ama. E su tutti odia te. Ci ha tradito. Vuole
usare la nostra invenzione per uccidere Nerone e sostituirlo. Vuole che i
nostri fedeli facciano la rivolta e pongano a governo di Roma lui, Calpurnio,
come depositario delle verità del Cristo. Per questo motivo vuole farti fuori,
vedendo in te un nemico. Tu continui a divulgare il vero senso della nostra
opera. Tu continui a svelare la mistificazione di questo mondo. Tu continui a
spingere tutti alla vera rivoluzione. Bada a te stesso. Fuggi. Almeno per un
periodo. Mettiti al riparo.
Calpurnio a Paolo.
Paolo, fratello mio, con te ho
cominciato questa storia dieci anni fa e con te la devo finire. Seneca è
impazzito, o si finge pazzo. Conosciamo entrambi le sue debolezze e le sue
incertezze, tante volte da noi giustificate. Ma ora ha passato il segno. Dice
che se è falso questo mondo, regno del male, sono anche falsi i mondi visitati
da noi, suggestioni dei nepenti e della nostra fantasia esaltata. Dice, infine,
che Gesù Cristo è una nostra invenzione. Petronio lo avalla in questa fandonia,
dicendo che lui è l’autore di quasi tutti gli scritti che parlano del nostro
maestro. Quale sia il loro fine mi sfugge.
So solo che dice in giro che io voglio
usare i nostri fedeli per fare una rivoluzione e sedere al posto di Nerone. E
dice che tu sei un pazzo da me manovrato. So che vuole metterci l’uno contro
l’altro. Mi mette in guardia da te, dicendo che tu prepari per conto tuo una
sedizione a Corinto e Tessalonica, e che mi vuoi fare fuori. Immagino che a te
dirà che io complotto contro di te. Deliri. Sono solo deliri. La verità è che
Seneca ci ha traditi. E vuole manovrarci. Vuole infangare il mio e il tuo nome,
e con il nostro quello di Cristo, attribuendoci false smanie di potere. Ti
prego, vieni qui a Roma. Subito. Appena puoi. Se stiamo correndo qualche
rischio, lo correremo insieme. Come abbiamo sempre fatto. Non teme la morte,
chi sa che non esiste.
Calpurnio a Petronio.
Fratello mio, Petronio, è la fine. Che
Paolo fosse pazzo, lo sospettavo da tempo. Ora è certezza. È convinto,
avvelenato dalle sue stesse parole, che Cristo sia esistito davvero. Ricordi
quando insieme abbiamo salvato Paolo e Seneca da quel loro funebre gioco a due?
Pensavamo di averli, in seguito, riportati alla vera scienza della realtà, di
come tutto sia sogno. Paolo, in realtà, ha continuato a credere in segreto che
le sue visioni sono vere. Questa sua cieca fede in ciò che crea con le sue
mani, anzi, in segreto è diventato un mostro che lo ha divorato. Ma questo non
è solo un male per il nostro caro amico. Il peggio è per tutti noi, e per la
nostra causa.
Ora dichiara a tutti di avere conosciuto
di persona Gesù, e davanti all’evidenza che i fatti attribuiti a questo
personaggio da te inventato, mio buon Petronio, si sono svolti quando lui era
appena un bambino, risponde, come i matti, che lui lo conosce davvero comunque.
È venuto fino a Roma per dimostrare la verità di quanto dice. Ha sobillato
interi gruppi di persone. Come sai è questo il motivo per il quale è stato
condannato a morte. Questo, per quanto mi duole dirlo, sarebbe potuto essere
almeno un bene per la nostra causa. C’era da sperare che il suo martirio
invogliasse alla ribellione i nostri fedeli. Invece ora hanno tutti paura.
Nerone ha sparpagliato soldati da tutte le parti. Roma è assediata dal suo
imperatore. Tutto è andato a rotoli, e ormai si impone per noi una sola via di
uscita. Quella che avevamo lasciato per ultima, sperando di non doverla usare
mai. Dai tu il segnale a Seneca che l’ora di Nerone è giunta.
Calpurnio a Nerone.
Figlio mio, il nostro sogno si avvera.
Tra qualche giorno potrai trovare una lettera di Petronio a Seneca in sui si
prepara una congiura contro di te. E così, dopo giusta condanna, Petronio e
Seneca non saranno più dei nostri. Quanto a quel mentecatto di Paolo è venuto a
farsi uccidere di sua spontanea volontà. Morti i suoi inventori, ora Cristo è
vero. E in nome di Cristo tutti vorranno essere uguali, tutti liberi allo
stesso modo, come schiavi, sotto la stessa unica e divina autorità. O Nerone,
con te, oggi, l’impero diventa eterno.
per approfondire: https://libroguerriero.wordpress.com/2014/04/16/pier-paolo-di-mino/